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Processo alchemico

Gianfranco Pereno
PROCESSO ALCHEMICO
Anno Domini 1305, un alchimista viene condannato a morte...
«Non so quanto tempo ci metterò a morire e neppure quanti giorni consumerò ancora implorando pietà, ma di una cosa sono certo: un attimo dopo che sarò spirato mi metterò al tuo fianco e non ti abbandonerò più un solo istante, fino a quando non arriverà anche il tuo turno di venire in questo atroce abisso di tormenti!»
Poi l’uomo girò lentamente la testa verso il potente prelato che si teneva prudentemente discosto dal tavolaccio, intriso di sangue scuro sgorgato da infinite torture.
«Solo allora lascerò lui per venire da te e quello che avrai visto accadere al tuo boia non sarà nulla a confronto dell’orrore che invaderà da quel momento il tuo corpo e la tua mente. Ti starò appiccicato fino a quando non esalerai l’ultimo respiro, aspettando con ansia che la tua misera carcassa rinneghi la sua sudicia anima, per ghermirla e gettarla nel più profondo degli inferni, dannata e maledetta per l’eternità!»
Il silenzio che aleggiò nella segreta sembrò cristallizzare per un attimo il sorriso beffardo intagliato nell’affilato volto di Varro, l’energico arcidiacono del temibile vescovo di Novara.
Fu solo un breve istante, poi il religioso tracciò sull’uomo legato al tavolaccio un frettoloso segno della croce e il boia lasciò nuovamente cadere con forza il pesante maglio, che reggeva a fatica con entrambe le mani, sul ginocchio destro del condannato.
L’urlo, che si mescolò con il sinistro frastuono delle ossa che si frantumavano sotto il colpo devastante, parve rimbalzare sulla nera tonaca del prete, per poi perdersi in un’infinita serie di macabri echi nel freddo buio delle celle circostanti.
Varro fissò compiaciuto alcune schegge d’osso che si erano conficcate nel legno duro, levigato negli anni dagli innumerevoli corpi che vi erano stati legati sopra, poi, con rassegnazione, estrasse da una grande bisaccia di pelle che portava a tracolla una spessa pergamena.
Solo dopo aver intinto con prudenza la punta del suo stilo in un calamaio di rame, incassato nell’alto leggio che aveva di fronte, si degnò di guardare il condannato negli occhi, ponendo la sua prima domanda.
«Dov’è nascosto Dolcino?»
«Fottiti!»
La pesante mazza calò nuovamente su quello che restava del ginocchio.
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